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ALLA SCOPERTA DEL MONASTERO DI SANT’ANNA

ALLA SCOPERTA DEL MONASTERO DI SANT’ANNA - quovadisumbria

 A Gennaio 2014, come tutti ben sanno, è tornata al Monastro di Sant’Anna, per un brevissimo periodo, la famosa Madonna di Foligno di Raffaello. Ovviamente all’occasione è stata data grande risonanza, e in effetti moltissimi visitatori hanno risposto, come hanno dimostrato le lunghissime file di folignati e anche di“forestieri” , in attesa di entrare ad ammirare il capolavoro.

L’evento però, ha dato anche un’ulteriore opportunità: quella di riscoprire o di scoprire per la prima volta, il bellissimo Monastero di S.Anna o delle Contesse. Qui vivono tutt’ora delle suore e, quindi, c’è sempre la possibilità di chiedere loro di visitare la struttura ma, di fatto, è un luogo pressoché sconosciuto per moltissimi cittadini. Con la presenza della Madonna di Foligno, tutti hanno appreso che dal 1565 al 1797 il Monastero ospitò l’opera di Raffaello, ma anche che il Monastero stesso è, ad oggi, una specie di Museo, tanto è ricco di bellissimi affreschi risalenti ad epoche diverse.

Già all’ingresso si è subito accolti da alcuni dipinti e, a tal proposito, è molto interessante ricordare che le suore, in passato come attualmente, avevano di fronte, quando uscivano dal monastero, un affresco sul tema della Carità e, rientrando, un altro su quello dell’Umiltà, che sono valori – cardine di tutta la decorazione dell’edificio. Autore di queste due pitture, che accompagnavano la vita quotidiana delle religiose, è Pierantonio Mezzastris, artista molto operoso a Foligno e in altre località.

A seguire è lo splendido chiostro verde, dipinto a monocromo con storie della vita di Gesù da un altro “padre”della nostra pittura folignate: Giovanni di Corraduccio.

La chiesetta presenta altre opere di epoche successive, famosi artisti come il Pandolfi, Dono Doni e il Pomarancio.

La struttura del monastero si accrebbe nei secoli, a partire da una casa con annesso un oratorio, infatti,si arrivò ad inglobare nuove parti: un primo chiostro, successivamente un secondo, e poi alcune case; molto graziosa è una struttura a torretta donata dalla famiglia Trinci, affrescata ancora da Giovanni di Corraduccio con: Cristo crocefisso sull’albero della Croce, simbolo di salute e soprattutto di salvezza, profeti e patriarchi con cartigli scritti in volgare e ricami ebraici, che probabilmente vollero essere una presa di posizione, da parte delle suore, in favore degli ebrei, accusati di essere la causa delle epidemie di peste che, ad ondate, flagellavano le popolazioni del passato.

Fra le parti secondo me più gradevoli, c’è il refettorio, che trasmette ancora oggi un grande senso di serenità e semplicità, gli affreschi che lo decorano sono stati attribuiti ad Andrea di Cagno, allievo di Giovanni di Corraduccio ed attivo a Foligno fra il 1418 e il 1460; raffigurano le Nozze di Cana, l’Ultima Cena, Gesù a casa di Marta e Maria.

Il secondo chiostro a cui si giunge in successione è, in realtà, il più antico: risale alla fine del ‘300-inizio ‘400, e presenta degli affreschi dal tema molto singolare, realizzati a metà ‘400, ritraggono infatti Sante Martiri, tutte donne quindi. Annessa è una cappellina trecentesca dove Giovanni di Corraduccio raffigurò una Crocefissione con la Beata Angelina, fondatrice del Monastero (da non confondere con la ben più famosa Angela, da poco diventata Santa) e S.Elisabetta d’Ungheria, patrona del Terzo Ordine , cui appartengono appunto le suore del Monastero.

Infine, altra straordinaria parte, è quella della casa di Niccolò Alunno, il più celebre artista di Foligno, inglobata anch’essa nel Monastero, ovviamente dopo la morte del proprietario, avvenuta nel 1502, dove si trovano affreschi dell’artista ma, soprattutto, incisi come graffiti sul muro, degli appunti e delle annotazioni lasciati dall’artista durante la sua quotidianità, e quindi molto vari:calcoli, nomi, prove di disegni etc…

Nei giorni di presenza della Madonna di Foligno, i tanti visitatori hanno anche approfittato dell’occasione per visitare i musei cittadini: Palazzo Trinci, il Museo della Stampa, l’Oratorio della Nunziatella…sembra che serva sempre qualcosa o qualcuno che, da fuori, ci ricordi quanto sia artisticamente ricca la nostra città!

RIAPERTURA DELLA CAPPELLA DI SAN NICOLA AD ASSISI

RIAPERTURA DELLA CAPPELLA DI SAN NICOLA AD ASSISI - quovadisumbria

LA CAPPELLA DI SAN NICOLA AD ASSISI 

 

 

Il 6 Dicembre 2012 è stata ufficialmente riaperta al culto, dopo anni di restauro, la Cappella di San Nicola, sita all’interno della Basilica Inferiore di San Francesco ad Assisi.

Per l’occasione è stato invitato in conferenza stampa anche il Ministro per i Beni e le attività Culturali, Prof. Lorenzo Ornaghi. Gli interventi che hanno permesso di conoscere storia, importanza e vicende di restauro, sono stati quelli dello storico dell’arte Elvio Lunghi, Prof. presso l’Università per stranieri di Perugia, e di Sergio Fusetti, capo restauratore della Basilica.

La cappella venne costruita a fine ‘200 per volontà del famoso Napoleone Orsini, che desiderava collocarvi la tomba per il fratello Giovanni Gaetano, deceduto nel 1292.

Al suo interno possiamo perciò ammirare ancora oggi  lo stupendo monumento funebre marmoreo, un tempo attribuito dagli studiosi ad un alunno o ad un emulatore dello scultore Arnolfo di Cambio, mentre recentemente è stato avvicinato a Lorenzo Maitani, noto per il suo operato presso il bellissimo Duomo di Orvieto. Alle pareti gli affreschi rappresentano, nel sott’arco di ingresso, San Francesco e San Nicola che raccomandano a Gesù i due fratelli Orsini, tutt’intorno Storie di San Nicola e immagini di Santi. Tali dipinti, precedentemente accostati ad allievi di Giotto, in seguito all’intervento di restauro , sono stati direttamente attribuiti a Giotto stesso, in compagnia del senese Palmerino di Guido ed altri aiutanti.

Da sottolineare il fatto che, a partire dall’Aprile 2010, per alcuni mesi, il restauro della cappella è stato “aperto”, infatti, in occasione dell’evento intitolato proprio “I colori di Giotto”, i visitatori della Basilica potevano entrare direttamente in cantiere, salire sulle impalcature e scoprire così un mondo per molti del tutto sconosciuto, fatto di tecniche ed operazioni molto particolari, che conducono spesso ad approfondite analisi e a scoperte.

In tal senso, una scoperta davvero curiosa è stato il cosiddetto “signum tabelionis”, ovvero una sorta di firma che nel Medioevo utilizzavano soprattutto mercanti e notai per marcare le merci o firmare atti, formata da un monogramma ricavato dalle lettere del nome. Nel caso specifico, sembrerebbe che Giotto abbia voluto lasciare, proprio nella parte centrale degli affreschi, sopra la tomba Orsini, e in particolare alla base di un arco che separa le figure della Madonna e di San Francesco, un suo segno, consistente nella sovrapposizione delle lettere “G” “I” “B”, ovvero Giotto – Ioctus Bondoni.

Lo stesso restauratore ammette che potrebbe essere l’evidente mano di Giotto ad averlo condotto a leggere in questo modo il segno scoperto, ma è in programma una serie di studi proprio per approfondire la questione.

A prescindere dalle attribuzioni, e quindi da chi sia il nome dell’artista, o meglio degli artisti che parteciparono a tale capolavoro, ciò che deve soprattutto interessarci è che abbiamo a disposizione questa bellezza da poter visitare liberamente e gratuitamente tutti i giorni, anche la domenica, nella Basilica di San Francesco ad Assisi.

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APRIAMO I CENTRI STORICI ALL’ARTE CONTEMPORANEA

Di Sandra Remoli

 

Svolgendo la professione di guida turistica in Umbria, mi capita ogni tanto di ascoltare commenti negativi da parte dei turisti a proposito delle poche e rare opere di arte contemporanea poste nei centri storici: a Spoleto, ad Assisi, ma anche nella mia amatissima Foligno dove, accanto ai visitatori,  alcuni degli stessi concittadini non sono estranei a simili osservazioni.

             A Foligno infatti abbiamo, ad esempio, due opere di Ivan Theimer, inoltre da un paio di anni, lungo il corrimano della scala di Palazzo Trinci, c’è la scultura “Embrione”, di Angelo Cucciarelli, che nel 2007 espose le proprie opere sia nel cortile che all’interno del Palazzo in occasione di una bellissima mostra. Beh, ultimamente ho discusso con varie persone contrarie all’inserimento di questi lavori nel contesto “antico” della città.

Consapevole che “de gustibus non disputandum est”, che ognuno ha il sacrosanto diritto di esprimere i propri giudizi e che gli stessi non sono legati, secondo me, al livello culturale posseduto, sento spesso il bisogno di dire la mia in proposito, per dare un secondo punto di vista, una prospettiva diversa. 

Oggi la gente non è abituata a vedere opere d’arte contemporanea, soprattutto nei centri storici delle città; proprio per questo, secondo me, ammirare lavori come “Embrione” in un luogo pubblico e di passaggio quale è il cortile del Trinci , rappresenta una grande opportunità, l’opportunità di imparare a guardare, ad esercitare i propri occhi e il proprio spirito di osservazione più autentico…è molto triste che l’arte di oggi (a parte rari e spesso vani casi) sia confinata in un universo di “addetti ai lavori”, di esperti che spesso parlano una lingua tutta loro, sconosciuta ai più. In passato non era così (si pensi alla grande stagione del Rinascimento).

L’esistenza di questi due mondi paralleli incapaci di comunicare senza applicare etichette ed indignarsi, persisterà fino a quando non elimineremo dal nostro sguardo tutta quella serie di “concetti a senso unico” che si sono accumulati nei secoli fra i nostri occhi e ciò che vediamo, innalzando così un muro – specchio che ci illude di osservare, ma che in realtà riflette nelle cose ciò che noi siamo capaci e sappiamo vederci.

 Nessuno ci ha insegnato ad aprire gli occhi all’arte contemporanea. Se le persone che oggi “criticano” , fin da bambini, passeggiando in città, avessero visto vicino al Duomo, ai palazzi del centro storico, al parco, sculture o istallazioni di arte contemporanea, se nessuno li avesse stimolati a dare un nome agli scarabocchi che lasciavano sui primi quadernini, riagganciandoli arbitrariamente e solo al mondo della realtà, probabilmente oggi non saremmo qui a discuterne.

Davanti ad opere come “Embrione”, per una volta, cerchiamo di non pensare, ma solo di guardare veramente, senza voler per forza dare giudizi, cerchiamo di essere disponibili e non ostili, deponiamo le armi con sincera curiosità e un pizzico di benevolenza.  

Quattro anni fa l’artista americana Beverly Pepper ha voluto donare ad Assisi una sua scultura, ora collocata davanti alla chiesa di San Pietro. Andiamo a vederla. Dobbiamo esultare se gli artisti ci offrono i loro lavori invece di nasconderli in gallerie d’arte e mostre personali dove mai e poi mai ci sogneremmo di entrare.

 Non è giusto privare i nostri occhi e il nostro spirito del piacere di un’altra arte, l’arte di oggi, che, soprattutto accanto a quella di ieri, ha ancora tanto da dare. E’ ovvio che sia diversa, che sia cambiata nel corso dei secoli, ma se non entrerà nei nostri centri storici cosa lasceremo noi ai posteri?

Angelo Cucciarelli, in occasione della sua mostra al Trinci, mi parlò proprio dell’importanza di questa ambientazione per le sue opere , proprio in quanto luogo estremamente caratterizzato, connotato, con una sua storia ed una sua arte. Rispetto a semplici locali moderni con pareti bianche o nere, il bello di questa collocazione è dato dal dialogo e dal rapporto che si viene a creare tra opera ed ambiente artistico che la ospita. Lo scultore distingueva poi il valore delle creazioni in sé stesse da quello dell’esposizione, che è il risultato di tale relazione spaziale.

In tutta Italia la vita quotidiana si svolge inevitabilmente e fortunatamente, in edifici, strade, contesti urbanistici in cui coesistono, quasi sempre felicemente, Medioevo, Rinascimento, Barocco…che in virtù di tale vicinanza possono esprimere al massimo le proprie peculiarità e rivivere grazie allo scorrere del tempo che ciascuno stile manifesta…fortunatamente l’essere umano continua a creare, a produrre opere d’arte.

Se non aggiungiamo l’arte contemporanea, se la ghettizziamo come se fosse affetta da un morbo contagioso, ci troveremmo ad abitare città – cimiteri, dove si ricordano solo le glorie dell’arte antica.

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